Autori: Annalisa De Vivo, Maria Adele Morelli, Debora Pompilio.
Con l'entrata in vigore della
Legge 22 maggio 2015, n. 68, in materia di riforma dei reati ambientali, sono
state introdotte nell'ordinamento nazionale nuove fattispecie delittuose, con
il dichiarato fine di migliorare il livello di tutela della salute e dei beni
naturali.
Invero l'intervento normativo ha modificato in
maniera significativa il codice penale, nel quale è stato introdotto un nuovo
titolo dedicato ai "Delitti contro l'ambiente" (Libro II, Titolo VI-bis, artt.
da 452-bis a 452-terdecies), all'interno del quale sono previste le nuove
fattispecie di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e
abbandono di materiale radioattivo, impedimento di controllo, omessa bonifica.
Per taluni illeciti quali il disastro ambientale e
l'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, nonché per
l'ipotesi aggravata di associazione per delinquere, la nuova legge ha
introdotto anche la confisca quale misura di prevenzione, prevedendo altresì
che, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice debba
ordinare anche il recupero e, ove possibile, il ripristino dello stato dei
luoghi, ponendo i costi a carico del condannato e delle persone giuridiche
obbligate al pagamento delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità del
primo.
Di altrettanto rilievo sono poi le disposizioni in
tema di ravvedimento operoso: quest'ultimo, originariamente previsto come causa
di non punibilità, con le nuove norme opera come circostanza di attenuazione
della pena in favore di chi, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, eviti le ulteriori conseguenze dell'attività
illecita, provveda alla messa in sicurezza, alla bonifica o al ripristino dello
stato dei luoghi, ovvero collabori concretamente con l'Autorità di Polizia o
Giudiziaria alla ricostruzione dei fatti e all'individuazione dei colpevoli.
Dal compimento degli illeciti ambientali discende
anche la responsabilità dell'ente nell'interesse o a vantaggio del quale il
reato sia stato commesso, ai sensi del d.lgs. 231/2001. E, con riferimento ai
modelli organizzativi previsti da tale provvedimento, l'inserimento delle nuove
fattispecie ambientali rende necessario l'aggiornamento dei protocolli già
esistenti e impone, agli enti che non li abbiano ancora adottati, una nuova
riflessione sulla compliance alla
normativa 231.
In particolare, l'attenzione deve essere rivolta
alla validità esimente dei modelli organizzativi, giacché la loro
adozione, lungi dal rappresentare l'ennesimo onere posto a carico degli enti,
fornisce piuttosto a questi ultimi l'opportunità di istituire un efficiente
sistema di governance e di gestione
dei rischi al fine di conferire trasparenza alle procedure interne e migliorare
l'immagine pubblica. La relativa decisione rientra in una politica che deve
essere definita dai vertici amministrativi dell'ente, sui quali grava quanto
meno il dovere di verificare l'esposizione del medesimo al
rischio-reato.
In tale contesto il commercialista, in quanto
professionista economico-giuridico, assume evidentemente un ruolo centrale, dal
momento che le
sue
competenze risultano indispensabili all'ente sia nella fase di adozione
del modello organizzativo, quale consulente in grado di contribuire alla sua
corretta implementazione nel sistema aziendale, sia nella fase successiva, in qualità di
componente dell'organismo incaricato della vigilanza sul corretto funzionamento
e sull'osservanza dello stesso.
Fondazione
Nazionale dei Commercialisti
Il Presidente
Giorgio Sganga