di David Terracina.
Dal riciclaggio all'autoriciclaggio.
Con l'art. 3 della l. 15 dicembre 2014, n. 186,
all'esito di un iter
travagliatissimo, il legislatore ha introdotto nel nostro sistema penale la nuova
fattispecie di reato di autoriciclaggio, i cui tratti verranno qui di seguito
sommariamente ripercorsi.
Nelle discussioni, spesso non perfettamente
focalizzate, sulle tecniche di contrasto all'evasione fiscale, si è, infatti,
ragionato con sempre maggiore insistenza sulla necessità di estendere la
portata applicativa dei reati di riciclaggio e di reimpiego di capitali
illeciti, di cui agli artt. 648-bis e
ter c.p., anche al fenomeno del c.d.
«autoriciclaggio» e del c.d. «autoreimpiego»: vale a dire al riciclaggio no al
reimpiego di beni di provenienza delittuosa realizzato dagli stessi soggetti autori
del «reato presupposto» o che in esso hanno concorso.
Le riflessioni in proposito sono molteplici e
coinvolgono le problematiche legate al sistema penal-tributario a vari livelli,
nonché, per quanto riguarda più specificamente l'oggetto del presente
contributo, il rischio di nuove responsabilità, a vario titolo, a carico del
professionista.
L'art. 648-bis
c.p. descrive la condotta di riciclaggio in maniera tassativa: si ha
riciclaggio quando il soggetto, alternativamente, sostituisce, trasferisce, ovvero compie altre operazioni per ostacolare
l'identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altra utilità.
Allo stesso tempo, il successivo art. 648-ter
descrive la condotta di impiego di denaro o beni di provenienza illecita
punendo chi, al di fuori dei casi di cui al precedente art. 648-bis, impiega
in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti
da delitto.
(leggete l'articolo completo nel file allegato qui sotto)