La
disciplina recata, in materia, dall'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633 (in breve, anche "d.P.R. 633/72") - norma che tende a recepire
nel nostro ordinamento la disposizione di cui
all'art. 90 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 - è stata
più volte oggetto di istanze di interpello, con riguardo sia ai
presupposti per la variazione da parte del cedente o prestatore, sia
agli effetti che ne derivano per il cessionario o committente.
Il
documento approfondisce le problematiche connesse agli intrecci tra
"norme fiscali" e "norme concorsuali" ed evidenziate le difficoltà di
coordinare due corpi di misure eterogenee.
In
prosieguo si vedrà come, nonostante il tempo e le riforme intervenute,
l'intersecarsi tra interessi privatistici ed esigenze di copertura di
fabbisogni collettivi rende ancora oggi la materia
priva di un inquadramento sistematico.
Con
riferimento alla previgente disciplina anche i più recenti documenti di
prassi risultano improntati alla tesi che la "certezza giuridica" del
mancato incasso sia imprescindibile presupposto
per consentire al creditore falcidiato l'emissione della nota di
credito, documento nella prassi da sempre ritenuto, a torto o a ragione,
strumentale al recupero dell'imposta attraverso la variazione in
diminuzione.
A
sopportarne le conseguenze imprese e professionisti, e in genere la
massa dei creditori, forzati a tempi lunghi, talvolta inconcepibilmente
lunghi, per poter ottenere il diritto al credito
relativo all'imposta non incassata. Con tutte le conseguenti ed
evidenti penalizzazioni, non solo di natura finanziaria.
A
fronte dell'intransigente posizione assunta dall'Agenzia delle entrate,
non sono mancate repliche discordanti, sia in dottrina che in
giurisprudenza, per lo più, come si vedrà, fondate sui
principi di diritto unionale e sulla giurisprudenza della Corte di
Giustizia europea. Difatti la Corte ha ripetutamente affermato che, in
virtù del principio di neutralità dell'imposta, la base imponibile
dell'IVA deve essere costituita dal corrispettivo realmente
percepito dal soggetto passivo e l'Amministrazione finanziaria non può
riscuotere a titolo di imposta un importo superiore a quello da questi
percepito a tale titolo; di conseguenza, quando l'insolvenza del
debitore risulta certa, o ragionevolmente certa,
la normativa interna di ciascuno Stato deve riconoscere al contribuente
il diritto di recuperare la maggiore imposta versata all'erario e non
incassata.
Proprio
alla giurisprudenza comunitaria va verosimilmente ricondotto il
passaggio dal presupposto della "certezza giuridica" a favore della
"ragionevole certezza" del mancato pagamento, principio
che traspare dalle novità normative di cui si tratterà nelle pagine
seguenti.