Lo scorso 27 settembre, a distanza di oltre quatto
anni dalla presentazione della proposta di legge d'iniziativa popolare di
modifica del codice antimafia, la Camera ha definitivamente concluso, in
seconda lettura, il lunghissimo e travagliato iter legislativo che, tra
l'altro, affida al Governo una delega per la tutela del lavoro nelle aziende
sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
La legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante "Modifiche al codice delle leggi antimafia e
delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.
159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al
Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate", è
entrata in vigore il 19 novembre 2017 e
si compone di 38 articoli, suddivisi in 7 capi, che apportano numerose
modifiche al c.d. codice antimafia e ad altre disposizioni di legge.
In occasione della recente entrata in vigore della nuova
disciplina, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili pubblica questo Speciale sulla riforma, ringraziando per il prezioso contributo
gli esperti del settore che hanno collaborato alla stesura del documento.
Questo focus
è stato strutturato in quattro distinti moduli e segnatamente:
- Prospetto
di sintesi delle modifiche normative
- Le
innovazioni sui presupposti e sul procedimento per l'applicazione delle misure
di prevenzione
- Le
modifiche alla gestione e alla destinazione dei beni - l'ANBSC
- La tutela
dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali
È d'obbligo, per gli inevitabili riflessi che la
riforma determina in capo alla "Categoria", effettuare un breve richiamo al "nuovo"
ruolo dell'amministratore giudiziario: il c.d. "effetto Palermo", che permea la
riforma del 2017, incide profondamente sulla figura dell'amministratore
giudiziario e, su taluni aspetti, attraverso delle previsioni
significativamente criticabili, cui è opportuno accennare.
Emblematiche, in tal senso, le norme che intendono
ampliare le categorie di "amministratori giudiziari pubblici" ai funzionari
dell'ANBSC e ai dipendenti della società INVITALIA S.p.A., in quest'ultimo caso,
allorché ci si trovi al cospetto di gestioni che riguardano "aziende di straordinario interesse
socio-economico, tenuto conto della consistenza patrimoniale e del numero degli
occupati, o aziende concessionarie pubbliche o che gestiscono pubblici servizi".
In altre parole, in quelle che verosimilmente potrebbero rilevarsi le
ipotesi maggiormente complesse di sequestro e confisca, il legislatore ha optato per affidare la
gestione della procedura ad un dipendente pubblico, con le dovute considerazioni
da farsi anche in termini di eventuali conflitti di interesse configurabili , anziché ad un libero
professionista - qual è, nello specifico, il
Commercialista - che, nel proprio patrimonio genetico, vanta
particolari competenze nelle materie tributarie, aziendali, finanziarie, nonché
relative al diritto di impresa.
Non vi è dubbio che si
condivide la necessità di costituire un utile raccordo tra gli amministratori
giudiziari e gli altri enti ex lege
coinvolti nella procedura, ma tale previsione andrebbe auspicabilmente
ripensata nel senso di assegnare al dipendente della INVITALIA S.p.A. il meno
gravoso incarico di coadiutore.
Non può essere avallata, inoltre, la nuova
formulazione dell'art. 35 del d. lgs. n. 159/2011 (c.d. norma ammazza amministratori) che, relativamente ai criteri di nomina degli
amministratori giudiziari,
consente agli stessi di assumere incarichi aziendali, ma "comunque non superiori a tre".
Tale disposizione
appare mal formulata ed illogica sotto più profili.
Innanzitutto, seppur si condivide appieno
l'esigenza di assicurare la trasparenza nel conferimento degli incarichi, desta
molte perplessità la previsione di un meccanismo di nomina che introduce un
limite quantitativo al numero degli incarichi senza individuare, piuttosto, un
limite qualitativo al cumulo degli stessi, sulla
base di criteri quali, a
titolo d'esempio, il numero degli incarichi in corso, la tipologia e il valore dei compendi da amministrare.
In secondo luogo, la norma in esame sembrerebbe
poco conforme alle
prassi dei vari Tribunali che, nell'ambito della medesima procedura di sequestro in danno allo stesso
proposto, spesso affidano ad un solo amministratore giudiziario la gestione di
più complessi aziendali (e dunque, più incarichi aziendali), al fine di contenere, quanto più possibile, i
costi di gestione della procedura.
Infine, l'individuazione di un limite quantitativo potrebbe limitare l'acquisizione
di un significativo bagaglio di conoscenze e di un elevato grado di
specializzazione, senza dubbio necessari per lo svolgimento dei numerosi e delicati adempimenti richiesti
all'amministratore giudiziario.
Non da ultimo, va segnalato l'ulteriore, criticabile, aspetto connesso alla liquidazione
dei compensi dell'amministrazione giudiziario, la cui disciplina, declinata nel d.P.R. n. 177/2015, ricalca quella prevista per i compensi in ambito fallimentare,
senza tuttavia considerare le significative differenze tra le due procedure, soprattutto in termini di adempimenti
e di durata.
Pertanto, il Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili, in veste di rappresentate
istituzionale di una Categoria professionale ampiamente coinvolta nella fase di
amministrazione e gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, intende dedicarsi, con costante attenzione, all'analisi di tali aspetti, in considerazione anche della necessità
di attenzionarli, nuovamente,
al legislatore.
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